Santuario di Nostra Signora dei Lumi nella frazione degli Alberici

Ad appena due chilometri dal centro storico di Montemarciano e a 45,63 metri sul livello del mare, nella frazione degli Alberici, sorge il santuario di “Nostra Signora dei Lumi”, luogo ricco di storia che custodisce una raffinata immagine della Madonna che allatta il Bambino, conosciuta dalla pietà popolare come “Madonna della Quercia”. Si tratta di un affresco quattrocentesco che orna la parete dietro l’altare maggiore ed è a questa immagine devozionale che si lega la nascita del santuario, sorto in un primo momento come semplice cappella devozionale.

Nel 1465 infatti Giacomo Piccolomini, vicario papale di Montemarciano dal 1461 nonché nipote del pontefice Pio II, su pio desiderio della moglie Cristofora Colonna, fece edificare una cappella nel punto esatto in cui si trovava un quadro appeso al tronco di una quercia (da qui deriva la denominazione “Madonna della Quercia”) molto venerato dai montemarcianesi, che mostrava la medesima Madonna allattante poi riprodotta a fresco all’interno della cappella. Per lasciare memoria di questo loro atto di devozione, i due coniugi Piccolomini fecero incidere sull’arco di volta della cappella la seguente epigrafe (in seguito rimossa e ora non più leggibile): «Jacobus de Piccolominibus et Christophora Columna consortes Ecclesiam hanc ad honorem Dei genitricis Mariae construi curaverunt» (“Giacomo Piccolomini e Cristofora Colonna coniugi fecero edificare questa Chiesa in onore di Maria Madre di Dio”).

Occorre precisare che l’intera zona degli Alberici era ricoperta sin dai tempi antichi da una fitta boscaglia, come suggerito dal toponimo stesso, che trarrebbe origine dal termine “albarus”, impiegato nel latino tardo medievale per indicare il pioppo bianco (volgarmente conosciuto come gattice), anche se erano presenti nell’area anche numerose querce; la radice “alb” invece, preromana, designa un’altura. La denominazione “Alberici” inizia a comparire come toponimo nel 1128.

Fatta quindi costruire la cappella – in forma di tempietto e sorretta da quattro grandi pilastri, con due sole finestre e un grande cancello davanti all’entrata -, i Piccolomini si adoperarono affinché fosse riprodotta al suo interno l’immagine della Madonna della Quercia, poiché ormai il piccolo quadro rimasto a lungo appeso alla quercia e continuamente esposto alle intemperie versava in un cattivo stato di conservazione. La paternità della nuova immagine ad affresco è stata attribuita a tale Bartolomeo figlio di Maestro Gentile da Urbino, artista vicino a Giacomo Piccolomini.

Di indubbia qualità estetica, l’affresco – quasi completamente ridipinto ad olio presumibilmente nel corso del XVII secolo e riportato al suo aspetto originario grazie all’ultimo restauro, eseguito nel 2009 – è ambientato in un paesaggio naturale aspro e ombroso e riproduce la Madonna, a piedi nudi e seduta sul tronco di una quercia, in atteggiamento affettuoso mentre allatta il Gesù infante sorridente, adagiato sopra un cuscino, che ad essa si aggrappa teneramente; in alto sono presenti due angeli nell’atto di incoronare la Vergine e di stendere il drappo rosso alle sue spalle. I due borghi fortificati che compaiono a lato del gruppo sacro sono da identificarsi l’uno con Montemarciano (a sinistra?) e l’altro con Monte San Vito (a destra?), aggiungendo all’opera un dettaglio di notevole realismo.

Nell’ottobre del 1597 venne inaugurato il santuario vero e proprio, fatto erigere in luogo della precedente cappella per soddisfare la grande affluenza di fedeli e pellegrini che accorrevano sempre più numerosi presso l’edificio di culto, divenuto celebre in seguito ad una serie di eventi luminosi attribuiti al potere miracoloso della Madonna della Quercia – che iniziò pertanto ad essere denominata “Nostra Signora dei Lumi” – e registrati tra il 1593 e il ’96. Le 37 testimonianze raccolte su richiesta di monsignore Pietro Ridolfi, vescovo di Senigallia, descrivono bagliori notturni di varia entità (luci mobili e luci fisse, singole o multiple, «in formazioni anche molto fitte», apparse in alcuni casi come «raggio a guisa di stella», in altri «come torcia») e ad intensità crescente negli anni, visibili sia all’interno che all’esterno della cappella, a cui si accompagnarono prodigiose guarigioni.

Tali miracoli, indagati a posteriori e ricondotti a diverse cause e fenomeni naturali –  come quello dei “fuochi fatui”, di origine tellurica, o a manifestazioni di tipo biologico, come colture fungine fosforescenti, o infine a casi di intossicazioni di gruppo e diffusione di epidemie, con conseguenti episodi allucinatori collettivi, tanto per citare le ipotesi più accreditate – diedero forte impulso alla già tanto venerata Madonna degli Alberici, al punto che  si decise di dotare il santuario di una serie di annessi per accogliere i pellegrini che qui giungevano da ogni parte. Fu questo il periodo più felice nella storia del santuario, animato dalla presenza costante di fedeli numerosi e profondamente riconoscenti alla Madonna, per i quali era già stato creato nel 1595 un secondo ingresso, nella parete di fianco all’altare, in modo da disciplinarne l’afflusso e la sosta all’interno dell’edificio religioso.

Al 22 febbraio 1607 risale l’elevazione del santuario a collegiata, titolo che mantenne fino al 12 giugno 1773, quando si trasferì la collegiata presso la chiesa di San Pietro Apostolo di Montemarciano, da poco riammodernata. Durante i circa 160 anni in cui fu collegiata, il santuario degli Alberici risultò retto da un priore e 5 cappellani (si avvicendarono in totale 53 canonici e 19 priori) fino a che, nel corso del XVIII secolo, «venuto meno il concorso dei fedeli al Santuario della Vergine, conseguentemente vennero meno anche le offerte» ed essa «rimase pressoché deserta e derelitta. Nei giorni feriali i canonici erano costretti ad officiare a porte chiuse. Anzi, per mancanza di mezzi, era così mal ridotta che da ogni parte del tetto vi penetrava l’acqua» (da “Notizie storiche della prodigiosa immagine di Maria Santissima che si venera nella contrada degli Alberici”, D. Diotallevi, 1896).

È durante la seconda metà del XVIII secolo che entra in gioco la famiglia Trusiani, appartenente all’oligarchia cittadina e da sempre vicina al culto devozionale della Madonna dei Lumi, che decise di accogliere all’interno del santuario i Fratelli della Penitenza, conosciuti anche come Nazareni, in modo da scongiurare il pericolo del totale abbandono della chiesa e rivitalizzare il sentimento religioso degli abitanti della zona, come di fatto accadde. I membri del pio Istituto di Penitenza, coadiuvati dai contadini e dai fedeli che abitavano vicino al Santuario, poterono costruire il loro convento tra il 1776 e il 1781, che così era strutturato: due corpi di fabbrica disposti ad angolo retto, l’uno a ridosso dell’altare maggiore della chiesa e di due piani, l’altro con sviluppo da sud-est ad ovest e circondato da un muro di cinta che, ricongiungendosi al perimetro della chiesa, creava lo spazio del chiostro.

Ulteriori ristrutturazioni e migliorie interessarono il complesso santuario-convento per tutto il corso del XIX secolo (nuovo coro per i religiosi nel 1856, riparazione dei tetti a partire dal 1864 e generale risistemazione di tutti gli spazi interni, gravemente danneggiati dall’azione del tempo), fino a che la municipalità locale non decretò la demolizione del convento nel 1885 per fare posto al nuovo cimitero comunale, aperto nel 1888. Nel frattempo, era anche stato soppresso l’ordine religioso dei Nazareni ed era iniziato il turbolento incameramento dei beni della chiesa da parte delle autorità politiche.

La situazione migliorò nel 1892, quando venne concesso ai religiosi di erigere un nuovo convento; risalgono allo stesso periodo anche una serie di interventi atti a rendere più vivibili e funzionali gli spazi del santuario (rifacimento del pavimento, costruzione dell’orchestra, di un nuovo coro e della bussola, inserimento di due porte aggiuntive e rifacimento del muretto esterno), nonché a permettere la normale celebrazione delle funzioni religiose.

L’edificio, esternamente molto semplice, ha una facciata a capanna decorata da un oculo con vetrata ed è affiancato dal cimitero tardo ottocentesco, a sinistra, e dall’ex convento a tre piani, sul lato destro (questa struttura è utilizzata dal 2005 come casa-famiglia). L’interno, a pianta centrale e semplice copertura a capriate lignee, è contraddistinto da alcuni apprezzabili elementi di arredo liturgico, come il quattrocentesco pulpito ligneo sulla sinistra, la cantoria, nel cui obolo centrale sono incise le lettere “INNR”, iniziali dello stemma dell’Ordine dei Nazareni, due crocifissi tardo seicenteschi, un lampadario in vetro di Murano, in corrispondenza dell’antica cappella, donato al santuario nel 1934, tre statue di santi (S. Francesco d’Assisi, S. Lucia e S. Antonio da Padova) e una dedicata al Sacro Cuore di Gesù. Di notevole interesse è l’epigrafe commemorativa posta nella controfacciata (parete di sinistra), che ricorda l’edificazione del santuario: «P. Petro Epis. Senog. Et Com. Ecclesia B. M. Virg. aedificata A.D. MDXCVII» (“Questa chiesa fu edificata alla B.V. Maria da Pietro Vescovo e conte di Senigallia l’Anno del Signore 1597”).

Il santuario è facilmente raggiungibile in auto e con i mezzi pubblici (c’è una fermata del bus proprio di fronte) o a piedi lungo il percorso turistico Agricom Triponzio-Esino.